Il presidente di Confindustria ha detto che non siamo più sull’orlo del baratro. C’è da chiedersi se l’Italia non abbia fatto un irreparabile passo in avanti, anche se è fuori dubbio che Giorgio Squinzi volesse significare tutt’altro. Il punto è che tutti si affannano a dire che il peggio è passato, che i sintomi di ripresa sono sempre più distinti, che possiamo tornare a respirare, ma la crudezza dei numeri sconfessa questi ottimismi.
E’ stato il Centro studi di Confindustria in settimana a dire che la situazione è ancora molto grave. Le previsioni che sono state presentate parlano infatti di una crescita molto modesta del Pil per quest’anno, appena pari a un +0,2%, mentre fino all’ultima indicazione si affermava che l’Italia avrebbe registrato a fine anno un +0, 7%. Il governo continua a dire che cresceremo invece dello 0,8%, perché la svolta avverrebbe da qui alla fine dell’anno, grazie anche all’effetto degli 80 euro entrati in busta paga di tutti i lavoratori dipendenti, ma per il momento è meglio credere ai dati di Confindustria.
I quali ci dicono che la produzione industriale dall’inizio della crisi è caduta del 23,6%, le costruzioni sono scese del 43,1%, gli investimenti del 27,6%. Dati drammatici, di fronte ai quali non si riuscirà a riparare, considerando che quest’anno vedremo un +0,2% e l’anno prossimo, sempre che vada bene, un +1,0%. Insomma, nella crisi ci siamo ancora dentro e non si capisce come fare a uscire da questa situazione drammatica che ci conduce, se non ci siamo già, in piena stagnazione.
Crisi dura come dicono i dati, ma drammatica a guardare le conseguenze sociali di questa crisi. I dati della disoccupazione, specie quella giovanile, parlano da soli, perché un 12,9% è sintomo di una situazione pesantissima. E poi ci sono le condizioni, anche queste difficilissime, dell’occupazione femminile, la realtà, questa veramente drammatica, degli over 50 che hanno perso il lavoro e non hanno speranze di trovarne un altro, almeno a breve, forse nemmeno nel lungo periodo.
Matteo Renzi continua a sprizzare energia e ottimismo, vede roseo nel nostro futuro e noi ne siamo molto contenti, perché c’è lui al timone della barca e se sa cosa si deve fare va tutto bene. Del resto non è difficile capire che se finora le cose sono andate male, l’unica speranza per far tornare le cose, e i conti, è tutta nel cambiamento.
Per questo attendiamo le riforme con ansia crescente, perché se ne parla molto, ma finora non si sono viste cose capaci di farci tornare il sorriso. Si sa, le riforme non cambiano tutto da un momento all’altro, serve tempo, vanno digerite, attuate, ma non si è visto ancora qualcosa che davvero ci possa far sperare che avverrà un cambiamento di rilievo.
E’ anche per questo che abbiamo letto con grande interesse l’articolo pubblicato da Romano Prodi nei giorni scorsi su Il messaggero nel quale l’ex presidente del Consiglio ha indicato le sue ricette per far ripartire la politica industriale. In questo articolo, che per Il diario del lavoro è stato ripreso e commentato da Fernando Liuzzi, Prodi dice alcune cose importanti. La prima è che non c’è sviluppo economico italiano senza che riparta l’industria.
E’ una verità, anche se molti pensano il contrario, vagheggiando un’Italia tutta dedita al turismo, all’agricoltura, ai prodotti del lusso (che poi sono prodotti industriali). Un paese grande e popoloso come l’Italia senza industria non avrà mai i mezzi per mantenere il livello di vita cui ci siamo abituati. Ma poi Prodi, che della materia se ne intende essendo stato professore universitario proprio di economia industriale e avendo diretto a lungo l’Iri, che lo sviluppo lo faceva davvero, passa a indicare delle regole di politica economica e soprattutto di politica industriale molto interessanti. E proprio la politica industriale sembra possa essere la carta vincente della nostra economia. Perché l’altro invito pressante di Prodi è quella di dare sviluppo agli investimenti, quelli di casa nostra e quelli che possono venire dall’esterno. Ma è chiaro che gli investitori italiani, come anche quelli degli altri paesi, possono metter mano al portafogli se hanno una visione chiara del futuro, se sanno su quali direttrici economiche è possibile attendersi lo sviluppo.
Questa è la politica industriale, scegliere i comparti da sviluppare, concentrare lì le risorse pubbliche, più o meno ingenti, indicando così la strada da far prendere ai capitali, italiani o stranieri che siano. Ma di politica industriale in Italia non c’è traccia da decenni. Io ricordo gli interventi che si fecero negli anni 70, quando non a caso partì una grande fase di ristrutturazioni industriali. Poi, il buio completo, non c’è stato più nulla, se non qualche legge isolata che aiutava un comparto o l’altro, mentre la nostra industria si privava di settori chiave, indispensabili per un vero sviluppo. Ecco, se Renzi vuole davvero far crescere l’economia, è questo che deve fare. Federica Guidi, titolare del ministero dello Sviluppo economico, viene dall’industria, queste cose le dovrebbe conoscere bene. Sarebbe bene che mettesse a frutto queste sue capacità e ci regalasse una vera politica industriale.
Contrattazione
E’ stato firmato, con l’esclusione della Fiom Cgil, un accordo per estendere a tutti i lavoratori dell'indotto della Fiat Sata di Melfi i contenuti del contratto collettivo di lavoro applicato nel gruppo Fiat, uniformando in questo modo le condizioni di lavoro, retributive e normative. Inoltre è stato siglato, sia pure nelle polemiche, l’accordo per il rinnovo del contratto nazionale dei giornalisti. Ancora in alto mare invece le trattative per il rinnovo dei contratti nazionali dei bancari e degli edili, due importanti settori economici che, anche a causa della crisi, non riescono a trovare la via per chiudere le trattative. Per quanto si riferisce agli edili è stata programmata una riunione per la prossima settimana che, si spera, in qualche modo sblocchi il negoziato. Un altro settore che da molti mesi non riesce ad arrivare all’accordo per il rinnovo del contratto nazionale è quello dei tessili vari. I sindacati del settore hanno proclamato in settimana uno sciopero per cercare di smuovere in qualche modo le acque. Da segnalare che è stato convocato un tavolo presso il ministero del Lavoro per accordarsi in merito all’utilizzo della cassa integrazione in deroga nel settore della pesca. Infine, un accordo è stato firmato in Lombardia per detassare il salario accessorio degli artigiani della regione.
Interviste
Fabiana Palombo ha intervistato per Il diario del lavoro Walter Cerfeda, presidente dell’Ires Cgil Marche sullo stato della contrattazione.
Note
Il diario del lavoro pubblica un articolo di Fernando Liuzzi che si sofferma sulle indicazioni di Romano Prodi per il rilancio della politica industriale.
Documentazione
Su Il diario del lavoro è possibile leggere il testo delle Previsioni economiche del Centro studi di Confindustria. Ancora Il diario del lavoro riporta il testo del decreto legge per la riforma della pubblica amministrazione, il discorso che Elena Lattuada ha tenuto in occasione della sua elezione al ruolo di segretario generale della Cgil Lombardia, il testo del Rapporto sul benessere equo sostenibile presentato dal Cnel e dall’Istat.
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